La nostra meravigliosa fisiologia è fornita di un ramo del sistema nervoso autonomo fatto apposta per gestire le emergenze. Questo sistema, al bisogno, mette in atto un sofisticato apparato ormonale e biochimico che ci permette di fuggire o lottare più efficacemente, “bloccando” le attività non necessarie in quel momento – gestite dall’altro ramo parallelo, del sistema nervoso autonomo – come la nutrizione, la digestione, l’assimilazione e il riposo.
Se pensiamo agli uomini dell’antichità o anche solo di qualche secolo fa, questa risorsa di gestione dell’emergenza, era provvidenziale. Animali feroci, pericoli, condizioni sociali precarie e instabili, erano molto più frequenti di quanto si possano incontrare ai giorni nostri nella società civilizzata occidentale.
La fisiologia umana non è cambiata. Il nostro sistema simpatico continua a “scattare” nelle situazioni di emergenza producendo ormoni e neurotrasmettitori efficaci ma pericolosi per l’organismo, come l’adrenalina e il cortisolo e tutto questo ha un grande “costo” per l’organismo che viene “stressato” e blocca le fisiologiche regolazioni del parasimpatico che servono ad assicurare nutrimento, assimilazione, digestione e riposo.
Occorre dunque riflettere sulla nostra “percezione” dell’emergenza.
Se un emergenza di fronte a una belva feroce, un pericolo fisico o una calamità naturale è comprensibile e giustificata, non si può dire altrettanto di fronte a stimoli quali il traffico caotico, la visita ad un cliente, i bambini lenti a prepararsi per andare a scuola, la visione di un uomo politico in televisione, un commento sgradevole del capufficio o scoprire che i cereali preferiti sono terminati al supermercato…
Se non impariamo a ridefinire il nostro concetto di emergenza e di urgenza, il conto da pagare sarà sempre più salato. Lo “stress” ( e cioè la condizione fisiologica di “emergenza”) o le sue dirette conseguenze sono già oggi la principale causa di morte nella società occidentale e la ragione del 75 % delle consultazioni mediche quotidiane.
La questione, come sempre parlando di gestione e orientamento delle energie, non è etica (della serie “giusto” o “sbagliato” ) ma estremamente pratica.
Vivere meno in emergenza significa vivere più a lungo e meglio.
Per ridefinire la percezione dell’emergenza occorre esplorare i valori che guidano la nostra vita e ci motivano…
Può essere un semplice e piacevole esercizio che ci aiuta a capire il significato che diamo alle cose, a depotenziare ciò che in tutta onestà non riteniamo più così importante ed urgente e ad aprirci a nuove convinzioni (e percezioni).
I “valori”, linguisticamente rispondono alla domanda “Per cosa?” e definiscono le motivazioni che plasmano e guidano le nostre convinzioni, le capacità e i comportamenti.
Avere il valore della “famiglia”, della “salute”, della “solidarietà” piuttosto che del “potere”, del “prestigio” o del “successo” ci indicherà “Per cosa” vale la pena lottare e darsi da fare e “Per cosa” accogliere dei punti di flessibilità (compromessi) che sono naturalmente determinati da quelli di inflessibilità. Se voglio realmente qualcosa (e sono inflessibile su questo punto) sarò disposto a ottenerla diventando flessibile sulle modalità, sulle strategie e sui percorsi.
Al di là della sterile retorica, è indubbio che i valori della società individualistica e consumistica, abbiano contribuito a far crescere la percezione dell’emergenza e la “separazione” tra le persone.
Tra le tante opportunità della “crisi” che stiamo vivendo c’è anche l’occasione di aprirsi a nuovi valori, come ad esempio la cooperazione, la relazione, l’amicizia, l’empatia e la gratitudine, tutti meravigliosamente capaci di rendere felici a costo zero.
Se si ridefinisce l’emergenza si sprecano meno energie, si sta più in salute e naturalmente si attivano al meglio le risorse creative, ponendo le basi per nuove opportunità di lavoro e abbondanza da condividere…
Da un punto di vista psicospirituale, l’emergenza è un atto di controllo e di mancanza di fiducia. Si è in emergenza per il “come” si affrontano le cose, non per il “cosa” si fa. Si possono fare dieci cose con leggerezza così come una sola con “controllo” e ansia.
Quando il coinvolgimento è eccessivo si vive nel “controllo” che è metafora di separazione.
Ridefinire l’emergenza è anche riappropriarsi della propria dimensione spirituale, cercare di vivere in presenza nel qui e ora, non abboccare alla seduzione della fretta e provare a prendere meno sul serio le cose, ritrovando quella semplicità e spontaneità di bambini che è requisito essenziale per il regno dei cieli….
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